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Il vuoto

"Ci sono due vasi del medesimo negozio, del tutto simili che vengono portati a casa", scrive Alekandr Archipenko, "mentre esamino questi oggetti sono improvvisamente preso dal desiderio di avvicinarmi. Detto, fatto. Avvicino i due vasi e cosa scopro? Un terzo vaso immateriale, trasparente, formato dal vuoto che c'é fra i primi due".
immagine vasi volti bianco nero
"Si ha un bel lavorare l'argilla", scrive Lao Tze, "per fare vasellame, l'utilità del vasellame dipende da ciò che non c'é. Si ha un bell'aprire porte e finestre per fare una casa, l'utilità della casa dipende da ciò che non c'é. Così, traendo partito da ciò che é, si utilizza quello che non c'é".

Il vuoto, uno degli elementi più affascinanti ed al tempo stesso inquietanti, sul quale si sono soffermati negli anni filosofi, sociologi, urbanisti, .... Ancora ricordo il secondo capitolo di un libricino edito nel 1993 e scritto da Aldo Giorgio Gargani "Stili di analisi", che parlava specificamente del vuoto, di questo vuoto che tutto contiene, ma non é assenza, di questo elemento inquietante dell'esistenza umana verso cui noi uomini siamo poco inclini a volgerci, di questo elemento ambivalente: da una parte "sfondo inaugurale di ogni nuova impresa, la quale deve elaborare ogni nuovo progetto lá dove qualcosa ancora non esiste, cioè il mondo che deve essere, il grande nesso etico-estetico che ancora non esiste, ma dall'altra l'enigma che si interpone nella comunicazione tra un uomo e ciascun altro". Vi consiglio di leggerlo se ve ne capita l'occasione. Io ci sono tornata su spesso, perché pian piano negli anni mi son fatta l'idea che sia proprio questo l'elemento discriminante o almeno uno degli elementi che segnano la differenza tra l'arte e l'architettura. L'artista vuole comunicare qualcosa, l'architetto vuole creare le condizioni spaziali perché un'azione si svolga nel tempo.

Quando ero piccola e facevo ogni anno il saggio di danza in teatro, mi colpiva una frase che stava scritta bella in grande, con inchiostro rosso su un muro laterale del palcoscenico del teatro Politeama, nel centro di Lecce; recitava così: il palcoscenico é un luogo dove si gioca a fare sul serio. Per ogni luogo che noi abitiamo nel quotidiano potremmo scrivere una frase similare. Io direi, per esempio, che la casa é il luogo dove la sacralità di una vita si sbriciola in tante piccole, ordinarie, talvolta banali azioni quotidiane; l'ospedale é il luogo in cui si impara a vivere e condividere la sofferenza; il cimitero é il luogo dove la memoria ci aiuta a mantenere vive le relazioni con chi non c'é più con noi qui; .... L'architettura é essenzialmente definizione di un vuoto, di uno scenario in cui qualcosa dovrà accadere e potrà farlo in modo inedito e non programmabile, il che non significa che l'involucro ovvero l'architettura non debba avere carattere o stile, ma non può e non deve essere a mio avviso una risposta chiusa, piuttosto deve così intimamente e discretamente rispondere ai bisogni/desideri di vita di chi la abiterà da metterlo in condizioni di porsi nuove domande. Azzarderei una proporzione: il vuoto sta all'architettura come il silenzio sta alla vita spirituale, anzi alla vita umana!

Negli ultimi anni abbiamo contratto i tempi e gli spazi; abbiamo affollato e riempito le nostre giornate di diecimila impegni che se per sbaglio ti ritrovi con un'ora di buco quasi ti prende il panico se non i sensi di colpa, abbiamo sovraesposto le nostre orecchie ed i nostri occhi, se per sbaglio ti ritrovi da solo in silenzio quasi hai paura ... Non diversamente abbiamo ristretto i nostri spazi vitali nelle abitazioni, mai un centimetro in più dell'altezza utile (sarebbe uno spreco di volumetria!), sempre meno metri quadri di superficie calpestabile, gli architetti hanno dovuto fare le capriole per far entrare tutto nelle case ed inventarsi i più fantasiosi mobili salva spazio e multifunzione .... Ma senza il silenzio, senza il vuoto non sono possibili nuovi cominciamenti.

Qualche anno fa sono stata testimone di nozze di due amici molto cari. Appena sposati i due hanno affittato un bilocale, ne erano ben contenti, era grazioso, c'era l'indispensabile, stringendoci entravamo perfino in otto a pranzo; dopo pochi mesi hanno iniziato a maturare una reciproca insofferenza, al punto da decidere di cambiare casa! Lo spazio vuoto é essenziale, la caratterizzazione degli ambienti non di meno; dobbiamo concederci il beneficio del dubbio su cosa stia facendo l'altro, in quale ambiente sia, dobbiamo darci la possibilità di scegliere se vogliamo stare soli in alcuni momenti oppure vogliamo condividere qualcosa con gli altri e cosa, dobbiamo non essere costretti a sentire la tv quando vogliamo leggere o mentre siamo a tavola. Tutto questo é palestra semplice, ordinaria, per educarci a scegliere, a muoverci, a non dare per scontato lo stare con altri vicini, a vivere relazioni dinamiche in cui cercarsi, smarrirsi, ritrovarsi. Io e mio marito da qualche mese ci siamo trasferiti in una casa nuova, più grande della precedente; talvolta quando siamo a casa mi capita di non vedere per un po' mio marito e di chiamarlo oppure di andare a cercarlo per vedere cosa sta facendo, per incontrarlo e viceversa. Potrà farvi sorridere, ma é una cosa bella!

Se oggi noi architetti grazie alla crisi economica ed alla minore quantità di lavoro riflettessimo un po' di più sulla dimensione etica del nostro lavoro, oserei dire che la crisi sarebbe una benedizione!